Diventa maestro nella scrittura di dialoghi

Qualcuno ha detto che ho una buona tecnica del dialogo, quindi mi sento di poter dare qualche piccola lezione al riguardo. In alcuni testi il dialogo è talmente importante da rappresentare il 90% del contenuto, soprattutto in narrativa contemporanea di genere.

Ecco 7 dritte che posso offrire per migliorare molto nell’ambito dei dialoghi.

I maestri da seguire

Se proprio devi imparare da qualcuno, ti consiglio di lasciare da parte i libri e andare dove il dialogo anima tutto.
Cioè a Teatro e nel Cinema.
Non ti dico di copiare pedissequamente, ma si impara un sacco di roba sulla ritmica e su come rendere frizzante una delle parti meno dinamiche di una storia. Leggendo romanzi si apprende il risultato di un processo creativo che invece sta a monte, e in questi due media è più evidente.
I migliori dialoghi teatrali sono quelli di Rostand e di Shakespeare, non si scappa. Tanto più che puoi leggere un qualunque libretto di Shakespeare e veder accadere le cose sebbene non ci siano niente altro che serrati scambi di battute.
Al Cinema hai un solo maestro possibile: Woody Allen. La sua incoerenza unita a riferimenti colti consente di produrre dialoghi sempre accattivanti.

Ma veniamo a questi maledetti 7 consigli.

Regola Uno: non ci sono i convenevoli

Già. I personaggi entrano in stato di dialogo affermando già i loro ruoli e le loro identità, o perseguendo i loro scopi. Molte volte sanno già con chi hanno a che fare. Oppure la circostanza impedisce un approccio lento.
Come si possa saltare la parte del “Buongiorno, mi chiamo…” è parte della creatività e quindi un campo di applicazione individuale (= no regole, spremiti il cervello). Di solito si ottiene congegnando scene dinamiche.

Robert salì le scale che conducevano al laboratorio di entomologia. Un ometto livido e calvo lo promosse ai banconi.

-Come procede la sua indagine, Agente Duvall?

Robert inarcò un sopracciglio.

-Ne parlano tutti, giù al Distretto. Ha scoperchiato pentole non da poco, spiegò il ricercatore. -Mi segua, ho già pronti per lei degli argomenti che la stupiranno.

-Veramente vorrei prima interrogarla sull’omicidio di Gaspare Burgio. Una formalità, sia chiaro, non è ancora incriminato. Non ancora.

Ecco che possiamo evitare saluti, strette di mano, presentazioni che al lettore non fregano assolutamente nulla. In questo esempio ho dato tutte le informazioni necessarie senza un infodump diretto.

Regola Due: mettici incoerenza

Quando i personaggi parlano smettono di essere entità narrative coerenti e diventano realtà emotive imperfette.
Il dialogo dunque deve essere imperfetto. I personaggi si interrompono, travisano, chiedono spiegazioni, divagano.

-Cos’è quello, George?
-Non saprei. A cosa ti riferisci? Non vorrei generare un equivoco.
-George!
-Come sta tua zia?
-Sta bene, sta bene. Ci aveva fatto preoccupare con quella storia dell’arto amputato, ma si trattava solo di un taglietto sul dito e un senso della tragedia che gli è venuto da una soap argentina. Ma non è questo che dobbiamo argomentare, adesso. Spiegami cosa è quest’affare che occupa metà del salotto.
-Ti ricordi Lucas? Lucas, quel simpatico tizio della Kennedy che ci ha venduto le ceramiche Fabergè scontate? Ha uno studio d’arte.
-Immagino. Continua pure.
-Questo che vedi è un esempio di arte di recupero. Roba forte. Il mercato tira in questa direzione.
-Credevo fosse il risultato di quattro biciclette in rotta di collisione. La domanda passa allora da: cosa è, alla più ovvia: quando lo butterai via?

Regola Tre: gestualità e non detto arricchiscono il dialogo

I personaggi esprimono col corpo stati d’animo e reazioni senza usare le parole a corollario. L’interlocutore, se il gesto è chiaro, completerà l’interazione e in questo modo anche il lettore capirà l’andazzo.

-Marco, siediti. Devo assolutamente dirti un segreto!

Marco roteò gli occhi verso il soffitto e sbuffò.

-Non fare così, stavolta è una cosa seria-, continuò Laura.

In questo esempio capiamo dal gesto di Marco che è stanco dei falsi segreti confessati ogni volta da Laura. Questo tipo di gioco espressivo consente di far vivere i personaggi sulla scena e dire molto di più che non con un’asserzione.

Il mio consiglio è di osservare le reazioni gestuali delle persone coinvolte in un dialogo. Guardano in alto quando immaginano, smanacciano se non credono, si toccano il naso se mentono e via così.

Occhio: la tentazione di mettere espressioni ovunque è fortissima in alcuni. Resisti alla tentazione! Il gesto espressivo sottolinea uno stato di incertezza o una potente reazione a quel che segue prima. Non mai a “mostrare” cosa fanno i personaggi. Infarcire di gesti, cambi di posizione ed espressioni ogni maledetta frase è il male. Non stai girando un film! Non so quale stupida professoressa di Liceo insegni questo, ma evita.

Regola Quattro: allungalo, perché il dialogo si legge velocemente

Il dialogo creativo si scrive molto piano e richiede tante immediate riscritture, però il lettore lo beve in un sorso. Calcola i tempi. Se un dialogo deve essere pregnante, allungalo perché tanto più tempo dura una cosa più questa è percepita come importante dal lettore. Trenta linee di dialogo possono richiederti un po’ di lavoro, il lettore se le succhia in un istante.

In questo senso ti consiglio di rileggere dopo qualche tempo, e notare se il dialogo in qualche modo ti coinvolge fino ad aver soddisfatto un certo senso di compiutezza. Se non ti colpisce e resta in memoria, allungalo.

Regola Cinque: ficcaci dentro idee originali

Non posso renderti più intelligente di quel che sei. Ma i dialoghi beneficiano di idee estemporanee, di giochi di parole e di metafore azzeccate.

Il dialogo può e deve essere un meccanismo narrativo che delizia il lettore, non soltanto uno scambio di informazioni.

A tal fine andiamo a scomodare Shakespeare.

In COME VI PIACE è in corso una commedia degli equivoci (qui maggiori notizie)
Rosalinda, per sfuggire allo zio malefico, ripara nella foresta e si traveste da soldato, dandosi nome di Ganimede.
Ovviamente Ganimede è “bellissimo”, ma essendo in realtà donna, per allontanare le spasimanti si inventa acido e sprezzante verso il genere femminile.
Ahi, la cosa si complica! Giunge tale cavaliere Orlando, che aveva una cotta per Rosalinda stessa, va cercandola ovunque, e chiede aiuto a Ganimede.
Caso vuole che Rosalinda-Ganimede straveda per Orlando, ma non possa dismettere i panni del soldato e ricambiare.
Ecco dunque il problema: Febe la pastorella si innamora del soldato Ganimede (a contrasto con l’imbelle Silvio, suo promesso), Orlando per Rosalinda e Rosalinda ricambia ma deve restare mascherata da Ganimede.

Per un assieme di fattori che non sto qui a raccontare, ad un certo punto della trama si prevede un matrimonio che riparerà gli equivoci. Rosalinda smetterà i panni di Ganimede e sposerà Orlando, Febe troverà in Silvio qualità insondate e si sposerà con lui.

Ecco come Shakespeare gestisce un dialogo delizioso nel quale Rosalinda, ancora nei panni mascherati di Ganimede, dice tutto senza dire nulla e soprattutto continuando a recitare la parte dello sprezzante che odia le donne senza poterne fare a meno!
FEBE – (A Rosalinda/Ganimede)

Giovane, siete stato assai sgarbato
a render nota agli altri la mia lettera.

ROSALINDA

Non me ne importa nulla.
Esser sgarbato e sdegnoso con te
è quello che mi studio di mostrarmi.
Tu sei seguita qui
da un fedele pastore che t’adora:
volgi a lui i tuoi occhi, ed ama lui.

FEBE – (A Silvio)

Insegna allora tu, o buon pastore,
a questo giovane che cos’è amare.

SILVIO

È esser tutto lacrime e sospiri.
E tal son io per Febe.

FEBE

Ed io per Ganimede.

ORLANDO

E tale sono io per Rosalinda.

ROSALINDA

E tal non sono io per donna al mondo.

SILVIO

È esser tutto fede e devozione.
E tal son io per Febe.

FEBE

Ed io per Ganimede.

ORLANDO

E tale sono io per Rosalinda.

ROSALINDA

E tale non son io per donna al mondo.

SILVIO

È esser tutto fantasia, passione,
e tutto desiderio, adorazione,
esser dovere, rispetto, umiltà,
esser pazienza ed impazienza insieme,
castità, sofferenza, obbedienza.
E tal son io per Febe.

FEBE

Ed io per Ganimede.

ORLANDO

E tale sono io per Rosalinda.

ROSALINDA

E tal non sono io per donna al mondo.

FEBE  (A Rosalinda /Ganimede)

Se così è, perché non vuoi ch’io t’ami?

SILVIO (A Febe)

Se così è, perché non vuoi ch’io t’ami?

ORLANDO (Come parlando a persona assente)

Se così è, perché non vuoi ch’io t’ami?

ROSALINDA

A chi è rivolta questa tua domanda?

ORLANDO

A qualcuna che non è qui e non l’ode.

ROSALINDA

Basta dunque con questo piagnisteo,
sembriamo tutti dei lupi d’Irlanda
ululanti alla luna.
(A Silvio)
T’aiuterò, per quanto è in mio potere.
(A Febe)
Ti potrei anche amare, se potessi.
Vediamoci domani tutti insieme.
Se mai dovessi sposare una donna,
sarai tu quella. E domani mi sposo.
(A Orlando)
Se mai io potessi far contento un uomo,
io ti farò contento, e tu domani
sarai uomo sposato.
(A Silvio)
E contento farò io anche te,
se contento ti fa quel che ti piace.
Perché anche tu domani sarai sposo.
(A Orlando)
Se ami Rosalinda, non mancare.
(A Silvio)
Se è vero che ami Febe, non mancare.
E com’è vero ch’io non amo donna,
io ci sarò. Per ora, arrivederci.
Avete tutti le mie istruzioni.

Regola Sei: evita i monosillabi, le interiezioni, i punti di sospensione.

Tentare di rendere colloquiale un discorso con gli “Eeeeh…” e altre ripetute interiezioni è l’inferno per il lettore. Non farlo. Punto. Non ci sono deroghe. E’ da analfabeti.

Il dialogo scritto non può essere trascrizione del dialogo detto, e questo per una ragione. Mentre nel dialogo reale c’è un tempo speso per la formulazione dei concetti (e dunque ecco gli eeeeh e gli aaaah, i sapessi e gli insomma…) nel dialogo scritto questo tempo di pausa è già presente nella decifrazione della circostanza. Ogni eeeh… che ci metti raddoppia il tempo nullo, risultando in un distacco. Per il lettore è come lo squillo di un telefono al cinema.

Se non lo hai capito fidati, e se perseveri che peste ti colga.

Regola Sette: non mettere i saluti finali

Così come si evitano le aperture formali, sarebbe buona cosa inventare soluzioni affinché le chiusure siano informali. Un telefono che squilla, un carrarmato che irrompe, un personaggio che si sovrappone, la nave che affonda.

Non c’è niente di più orrido della stretta di mano e del personaggio che si eclissa con un buonasera, mi saluti la famiglia.

In questo senso è anche possibile chiudere il discorso con una frase ad effetto e passare senza soluzione di continuità ad una scena futura lungo la linea del tempo. Questa chiusura ad effetto consente al lettore di maturare tutte le riflessioni riguardo il discorso concluso, e tanto meglio se il protagonista stesso cambierà umore in funzione di quelle stesse parole.

Molte serie televisive usano con efficacia questo trucco.

Conclusione

Che dire adesso. Come affrontate il dialogo? Vi risulta spontaneo? Avete stratagemmi da condividere? Parliamone. Appunto.

15 pensieri riguardo “Diventa maestro nella scrittura di dialoghi

  1. Faccio un po’ schifo con i dialoghi, ma tra poco mi aspetta un pezzo pieno di conversazione, quindi cercherò di applicare queste dritte. Hai consigli su come svelare la caratterizzazione attraverso il dialogo?
    Faccio parlare poco i miei personaggi, un po’ per nascondere che non mi riesce bene, e un po’ perchè mi escono introversi come me. In genere, quando un dialogo comincia, la comunicazione si svolge a parimerito sulla linea delle parole, delle espressioni facciali e dei movimenti corporei. E’ anche probabile che facciano altro mentre parlano, e che quindi non ci sia una vera divisione tra “parti di dialogo” e “parti di trama”… cerco di rendere le cose naturali.

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    1. Attraverso le reazioni alle asserzioni dell’interlocutore i personaggi svelano moltissimo di loro. In tante circostanze il dialogo si sviluppa come uno scambio di reazioni emotive più che come scambio di informazioni. Informarti che tuo nonno è morto potrebbe essere da parte mia un intento aggressivo (uso il dato in conformità al mio rapporto con te), e tu reagire più al mio intento che all’informazione stessa. Ad esempio accusandomi di volerti ferire per una gelosia pregressa. Questo mi pare un ottimo sistema per far vivere un dialogo convincente manifestando il carattere dei personaggi coinvolti. Il dato diventa pretesto per reiterare il rapporto fra i personaggi (anche perché il “carattere” è un dato relativo alle contingenze, non assoluto).
      Capisco quel che dici riguardo il permeare della scena dinamica e del dialogo che vi avviene, è sicuramente il modo migliore di approcciarsi alla cosa, sebbene lo tenga nella cassetta degli attrezzi complicati e la spiegazione sia lunga (non è detto che non provi in futuro a divulgare). Quando ho scritto racconti di dialogo ho fatto per forza di cose come dici. PS: onorato di averti qui.

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      1. Grazie a te 🙂 !
        “Come uno scambio di reazioni emotive più che come scambio di informazioni”, sì, penso che questo sia il punto.”il carattere è un dato relativo alle contingenze, non assoluto” questa è una cosa a cui non avevo pensato. Può darsi che ci siano personaggi più monocorde e altri più mobili in questo senso?

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      2. Beh, questo si, ci sono esempi soprattutto in letteratura russa di monoliti caratteriali. La letteratura anglosassone (americana) e quella italiana offrono invece esempi di caratteri melliflui e reattivi. I francesi poi passano da abisso ad euforia in un balzo. Direi che ci sono esempi di caratteri impermeabili, catafratti anche in letteratura giapponese (Yoshimoto fa sempre gioco su questo). Quindi si, anche l’insensibilità alla circostanza immediata, per le ragioni che vogliamo, è un tratto che può distinguere, sottolineare e tipizzare un personaggio. Purché vi siano ragioni concrete, e non solo per delineare un “bel tenebroso” 🙂

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      3. Interessante la carrellata di diverse “abitudini nazionali”, non ci avevo fatto caso. L’unico bel tenebroso che ho creato ha il carattere di una donna dello scorpione durante il ciclo, quindi per ora siamo salvi!

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  2. Molto utile, cercherò di applicare queste regole ai miei brevi e forse eccessivamente profondi dialoghi che sto sviluppando nel mio romanzo. E’ abbastanza difficile però riuscirci, essendo un romanzo psicologico/di formazione, un misto di irrealtà, crescita, e flusso di coscienza. Interessante, comunque!

    Un saluto

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    1. Grazie. Anche i flussi di coscienza possono rivelarsi molto coinvolgenti se non sono appesantiti dall’autoreferenza. Un personaggio riflessivo e in formazione, poi, è una miniera d’oro di punti di vista alternativi e di metafore insolite alle quali gli altri personaggi reagiscono. Un saluto a te!

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  3. Idee interessanti e mi sento di condividerle. Anch’io quando ho iniziato a scrivere, anni fa, costruivo scene interessanti, ma dialoghi che facevano pena, almeno ai miei occhi. Tuttavia a lungo andare, leggendo molto e traendo spunti e insegnamenti esattamente da cinema e da teatro, mi sono evoluto e ho imparato a migliorare.
    Credo che queste poche dritte possano servire veramente a chi ha intenzione di scrivere e deve ancora aggiustare il proprio stile riguardo ai dialoghi.

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      1. Grazie a te per averla messa in evidenza. Mi sembra un’idea interessante, soprattutto per chi si vuole approcciare al mondo della scrittura o per chi sceglie di migliorarsi ulteriormente.
        Qualche consiglio utile serve sempre. Non bisogna mai buttare via nulla in letteratura.

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  4. Scrivere dialoghi mi piace e credo che mi riesca abbastanza bene, all’interno del tipo di storie che scrivo ora, ma sono convinta che si possa fare di meglio in spessore. Mi hai dato da riflettere con il punto quattro: allungare i dialoghi perché sono di veloce lettura. Non ci avevo mai pensato. (Piacere di ritrovarti, non sapevo di questo blog.)

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