La paura fa spavento: chi scrive sta sul fondo del mare

Il criptozoologo Arancio Mercuri scoprì dal nulla una nuova specie di stegosauro. La scoprì perché non si era estinta ancora, e caso fortuito infestava proprio il suo cortile. Alla scoperta seguirono due giorni movimentati…

La paura fa spavento è uno dei titoli più belli che abbia mai letto. E’ l’albo numero 22 della serie Alan Ford – Gruppo T.N.T., scritto da Max Bunker, disegnato da Magnus e pubblicato dall’Editore Corno nel 1975.
La paura fa spavento.
Lo so perché ho per le mani adesso l’albo originale numero 26, il noto SUPERCIUK, supercriminale avvinazzato che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Tanto ai poveri nessuno ci bada. All’inizio dell’albo si trova l’elenco delle uscite precedenti. Fra le quali appunto il numero 22. La paura fa spavento.

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Avevo qualcosa come 8 anni. Mia zia, tornata alle 14 dai corsi di Belle Arti, pranzava leggendo Alan Ford. Possedeva tutta la collezione. Si fermava col boccone fra i denti e mi indicava con unghie laccate le vignette che la facevano scompisciare. Non ci capivo nulla, ma la assecondavo. Fu là, credo, che intesi i fumetti come qualcosa di essenziale alla vita. Non come queste graphic novel moderne, coi contenuti di valore, di cui non mi frega assolutamente una mazza, fossero pure rivoluzionarie. Non c’è mia zia col boccone fra i denti, intorno a quelle graphic novel.

Parlo spesso di mio nonno, ma poco di mia zia, che si è rifatta il naso, è molto bella ed è infermiera. Quando studiava Belle Arti, sul balcone fiorito che si affacciava in Via delle Casine, mi stimolava a cercare i colori nascosti dentro gli altri colori, dicendo che di puri non ve ne erano. Ebbi problemi con lo straccio per pulire i pavimenti. Ce li vidi un po’ tutti, i colori.
Una volta osservai un tizio rimorchiarla. Era estate. Si era messa a prendere il sole in topless, nel mezzo del campeggio, sdraiata su un materassino gonfiabile. Lui portava una bici. Disse due parole, mia zia annuì. Fine.

Mi portava a rotta di collo in motorino, non ricordo dove: guidava un CIAO. Stavo in piedi davanti e mi faceva paura.

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In alto a destra, quel balcone affacciato su Via delle Casine.

Era un bel personaggio, mia zia. Nevrotica, futurista, incapace di adeguarsi alla sua famiglia sgangherata.

Quando nacqui era solo una bambina. Poi è diventata donna, i fumetti li ha venduti in blocco, ricordo ancora il signore che se li prese: troppo maturo, calvo. Non mi piaceva.

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Prima che Urashima se ne vada dai fondali, la principessa rende indietro gli anni trascorsi assieme. Sigillati in una scatola.

La paura fa spavento.
Potrei concludere l’articolo così, ma Google pretende che perda tempo per migliaia di parole e credo lo vogliate anche voi.
Di là infatti sono successe altre cose che non sto qua ad illustrare.
Divago.

Un tempo pensavo che avrei governato la mia vita con ardimento, con volontà. Dando calci alle onde contrarie per spingere l’oceano dove volevo. Poi, scoperto che era impossibile, ho fatto come Urashima Taro e mi sono lasciato condurre sul dorso della tartaruga fino al castello in fondo al mare. Là ho trovato un sacco di roba interessante, e al contrario di Urashima non mi sta prendendo alcuna nostalgia. Anche perché se mai ritorni, proprio come il pescatore gentile, scopri che il mondo è cambiato, che nessuno si ricorda di te, e sono cose che non vuoi sperimentare.

Gli scrittori maledetti si sfondavano di oppiacei nei vicoli marocchini, me lo ha insegnato Bourdain parlando di Tangeri; vuoi per darsi un tono, vuoi per restare in quel castello in fondo al mare con la principessa delle tartarughe (bella, carina, un poco mielosa ma vabbè). Non volevano tornare alle loro Parigi o Londre, dense di ricordi ormai irrecuperabili. So di qualche Siriano, anche. Si immerse e addio. Tornato a casa dopo il soggiorno abissale trovò il mondo raso al suolo e nessuno che ricordasse il suo nome.

Chi scrive, e intendo come me, non come chi sogna un Taj Mahal col suo nome inciso, chi scrive si trova nel castello in fondo al mare. Ci si è immerso, e lo è in questo momento. La zia non invecchia, è ancora quella ventenne emancipata. Le pagine di Superciuck non ingialliscono mai. Una volta che sei disceso il tempo si ferma, giochi per seicento anni con la Principessa, e se riemergi trovi un mondo che non riconosci più, che dovresti reimparare. Comunque non c’è nessuno che ti indica vignette divertenti.

Nel lungometraggio animato “I Sospiri del mio cuore”, Studio Ghibli (si, quello del Castello Errante insomma), la ragazzina decide di scrivere segretamente un romanzo e per fare questo tralascia le sue attività scolastiche. Il padre, inizialmente preoccupato, le dice poi: -va bene, accettiamo cosa desideri. Però chi compie una scelta di vita non ortodossa trova sul suo cammino molti ostacoli. Non potrai biasimare nessuno.-
Beh, questi ostacoli sono povertà, discrimine, solitudine, malinconia, chiusura di un sacco di porte. Pochissimo sesso, anzi nulla. Come dice Busi, una faccenda suicidale.
La tartaruga chiede ad Urashima: vuoi salire sul mio dorso, ti porto nel castello in fondo all’oceano? Urashima dice si. Se diceva no avrebbe avuto una vita da pescatore ortodosso. Urashima sceglie e non può biasimare nessuno per questa scelta, ma era un allocco sin dal principio.

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Anche gli ortodossi scrivono, anzi, stanno vivendo un’era dorata.
Ci sono le bambine ventenni che scrivono romance, e vendono molti libri dai quali sono tratti film. Poi ci sono le signore un po’ invecchiate e anche loro scrivono romance. Se li scrivono a vicenda. Ogni signora alfabetizzata scrive il suo romance e lo spaccia alle amiche dei bollini Coop. O alle cortigiane del crocicchio madonnaro: giovedì peccato intellettuale, sabato tutte a pregare.
Sono quelle che hanno comprato le 50 Sfumature all’Esselunga o al mattino presto assieme al quotidiano, perché nessuno le vedesse: sapevano di peccare, lo hanno voluto fare sapendo di fare una sconceria. Perché non sono mai state belle come mia zia anche prima che si rifacesse il naso e nessuno le rimorchiava in campeggio. Gli manca quel mondo.
Gli uomini scrittori sono diventati rarissimi, si vergognano. Poi in ogni caso scrivono quelle stronzate di saggi su come diventare milionari con Twitter o come raggiungere l’illuminazione toccandosi gli occhi coi gomiti. Quindi spammano. Spammano e spammano nell’indelicatezza di un’autoreferenza che gli viene tutta dalle lodi che le mamme facevano quando centravano il vasino. “Guarda mamma ho scritto un libro” “Che bravo il mi figliolo! Ora spammalo a tutti, vedrai che lo vogliono!”. Alla fine si lamentano dell’editoria, dei rettiliani e del Governo. Perché nessuno comprerà più il solito memoriale del cazzo dei 4 amici che si separano o di lui che parte per un viaggio formativo.

Questo gruppo di persone non scrive, crea dei romanzi. Che è proprio altra cosa, altro mestiere. Non sono mai saliti sulla groppa di una tartaruga per rintanarsi sul fondo del mare. Vivono il presente con gli unici elementi del presente (che è come fare origami senza piegare mai la carta). Vanno avanti, si evolvono, accettano l’invecchiamento di Alan Ford. Si perpetuano.

Chi scrive davvero resta sul fondo del mare. Galleggia in un tempo immobile. Un giorno salirà alle terre emerse e come Urashima diventerà vecchio tutto di un colpo, crepando subito dopo.
Ecco, quella cosa di crepare mi fa paura. E la paura fa spavento, checché se ne dica.

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