Come narrare: te lo spiegano i babilonesi

Un uomo apre la porta di casa e si trova davanti all’ennesimo mondo sconosciuto. Un cartello lampeggiante nel cielo dichiara “HAI 15 ORE PER SALVARE TE STESSO E LA SPECIE UMANA”. Qualcosa di enorme, scuro, si avvicina a grandi passi dalla cucina. L’uomo inizia a correre. Si chiama Burt Kirkland, è un impiegato delle poste di Greenvalley, e questo è il solito risveglio che ha da centodiciotto giorni…

Ero partito scrivendo un post tecnico, poi mi sono ricordato la promessa di non farne mai. Non voglio fare post tecnici, scordatevelo. Ci sono già un sacco di aspiranti che scrivono su come si scrive. Diventeremo tutti romanzieri.

Quindi vi beccate un post di storytelling sullo storytelling.

Sarò lunghissimo, incoerente e magnifico. Parlo agli intelligenti, gli altri vadano a finire di distruggere la civiltà occidentale.

Partiamo dall’inizio dei tempi, cioè dai babilonesi. I babilonesi erano interessanti, perché furono i primi a creare città in senso vero e proprio. E come tutti sanno nelle città si generano mitologie, un poco come nei boschi umidi si generano i funghi.
La mitologia babilonese era parecchio campata per aria, è difficile capire la faccenda di Endiku e Gilgamesh, che si odiano, poi sono amici, uccidono, violentano, depredano, ma sono i buoni. Poi muoiono, risorgono… una storiaccia.
Però è una storiaccia bellissima, creata mettendo in sequenza tutto quello che potevi immaginare di straordinario. Moralmente discutibile, ovvio. Però che fantasia, questi babilonesi. Il cielo, le grandi creature, i poteri occulti, le resurrezioni, le armi mistiche, i tradimenti, le amicizie, lo scorrere del tempo al rovescio.
Siccome erano i primi avevano carta bianca, nessuno li avrebbe condannati per plagio, e i campi dell’immaginazione erano vasti e ancora incolti. Ci potevi far pascolare di tutto e dopo l’equivalente di caffé e sigaretta babilonesi potevi guardare il cielo e godere di una creazione immaginifica senza eguali nella storia umana.

Poi arrivarono i greci, e rovinarono un po’ la cosa.
I greci avevano la mania di catalogare e tipizzare tutto. Quindi diedero forma all’immaginazione, che era per sua natura liberissima, selvatica. Decisero che una cosa si narra a questo modo e non in tale altro. Che l’eroe è buono, il cattivo fa schifo, la donna sta in cucina ad attendere che lui torni dalla guerra. Dopo che si è divertito con giganti e donnine.
Riuscirono a incasellare perfino le forme astratte del pensiero, forse perché ansiogeni. Anche quando la sparavano grossa, ad esempio su atlantide, i loro dèi strampalati o la fisica dei mondi (di cui non sapevano assolutamente nulla) davano cifre esatte e incontestabili.
I greci non avevano una gran fantasia, ma avevano spirito di osservazione. Non essendo in grado di creare, e poi comunque i babilonesi avevano creato già tutto, si divertirono a catalogare e nominare ogni cosa esistente e ogni cosa NON esistente.

La narrazione ha sempre dovuto fare compromessi fra questi due estremi: le regole greche e la spudoratezza babilonese. E’ uno dei conflitti più acerrimi della storia umana (il che ci fa capire che razza di perdigiorno che siamo), che a sua volta è stato cagione di guerre sanguinose.
Per un sacco di tempo, non sto qui a contare i secoli, i Cattolici dovettero fare i conti col loro problema originario. Cioè voler dare regole partendo da una filosofia irrazionale e contraddittoria. Un poco come cavare olio spremendo albicocche. Affastellarono regole su regole su regole per mascherare il problema di fondo, diventando (e con loro il mondo) di un barocco esagerato.
Quindi, il medioevo e a ridosso, vicino di casa, il rinascimento.
Siccome il Cattolicesimo era diventato più complesso della teoria delle stringhe, e praticato in un idioma sconosciuto, la gente riprese a farsi le fantasie sue.
Una meraviglia! Draghi, cavalieri, folletti. Piante magiche, pestilenze inspiegabili, animali mescolati fra loro. Sesso a go go e tanta, tanta superstizione che ci piace. Un capolavoro: la fantasia sobbolliva nei borghi come nebbia effervescente a livello delle caviglie, e faceva sognare le cose più indecenti. Perfino il tempo si fermò! Credevano che non esistesse un prima, e mai più un dopo. Non è un caso se le nostre fiabe hanno tutte un sentore di medioevo nel cuore.
I cristiani, per via delle loro regole, si facevano guerra: era necessario stabilire quanti angeli potessero danzare sulla punta di uno spillo. Scismi, persecuzioni, massacri. Tutto quel sentore new age del culto originario se n’era andato e ci sono voluti diversi concilii e pontefici illuminati per riportare la fantasia al potere.
Nel mentre la gente sognava, sognava in modo anarchico, privatamente, creando i suoi mostri compositi, le sue streghe, le sue novelle softporno. Il monaco con la donzella, il re con le vacche, il diavolo e le sue pentole scoperchiate. La narrazione cercava di tornare babilonese mentre soggiaceva alla cappa bizantina delle regole.

Facciamo un salto avanti fino ad oggi. Siamo invasi dagli aspiranti scrittori (le cifre sono pazzesche, non sto a dirvele, ma è un incubo distopico) i quali, per non ammettere di essere persone comuni destinate al banco frutta, cercano il trucco. La sequenza. Il metodo. Vogliono fare i greci.
E’ molto difficile spiegare loro che se non hai fantasia, elasticità mentale e un minimo di ingegno non puoi creare niente nella scrittura. Ci vuole perfino una certa autoreferenza per arrivare a determinati livelli. Queste sono cose che il metodo non può dare.
Siccome i greci erano quelli del “metodo per ogni cosa”, eccoli tornati in auge.
Quindi ci ritroviamo per le mani quel mostro che è Il Viaggio dell’Eroe.
Il Viaggio dell’Eroe viene venduto in diverse forme, per intero o a brandelli sui blog, perché dare una regola è più facile che fare due chiacchiere e magari uscirne illuminati. E’ anche più facile che fare i babilonesi (se sei di estrazione babilonese la fantasia l’hai già messa in campo di tuo e del resto te ne freghi).
Se penso che tutto questo viene da come Google indicizza i siti mi incupisco. Di fatto, Google è un greco antico che ti obbliga a incasellare quello che dici, pena l’anonimato. Se non ci credete fate una ricerca e scoprirete che un articolo sul Decamerone è più facile da trovare del Decamerone stesso, che è molto poco SEO, poco pertinente e non ha keywords performanti.
Il Viaggio dell’Eroe è peraltro un modo di catalogare le storie, non di scriverle. Così come la biologia spiega molte cose, ma non fa per se stessa impollinare i fiori. Le api insomma se ne fregano della biologia eppure come api funzionano alla grande. E’ la biologia che impara dalle api, non viceversa. Idem lo scrittore che pur non sapendo esattamente come diavolo possa riuscirci, il suo scritto te lo fa. E il Viaggio dell’Eroe impara da lui, non viceversa.
Lasciamo quindi marcire in un angolo il Viaggio dell’Eroe e questi penosi complessi di inferiorità greci.

Ora ci troviamo smarriti. Come facciamo a scrivere questi libri che vendono milioni di copie?
Io direi che il problema sta tutto nella tensione narrativa.

La tensione narrativa è la spina dorsale dei racconti, siano questi brevi o lunghi. E’ il sapore, il gusto, quello che distingue l’acqua minerale dall’aranciata. E’ quello che ha reso i babilonesi dei grandi.
Possiamo immaginarla come una leggera scossa elettrica. Il lettore della storia viene attraversato da questa scossa a basso o alto voltaggio per tutta la testimonianza, senza sosta. Non può restare indifferente! Se la carica elettrica si spegne o manca del tutto, il lettore si perde nel buio, va altrove, non trova piacere.
E’ compito primario di chi racconta fare in modo che questa scintilla sia presente, e costante lungo tutta la stesura. Non accadrà mai solo scrivendo bene, o “a caso” o magari perché si ha una laurea in lettere moderne.
Oltre ai babilonesi erano maestri in questo i persiani. Che in aggiunta a fare tappeti e creare gatti da appartamento erano abilissimi a tenerti sulle spine.
Il principe col palletico pesante invita ogni notte una donna nel castello, al mattino la uccide. Bel tipo. Scherazade viene coscritta a questo jus prime noctis e non sappiamo come se la caverà (questa è una bella incognita, che ci tiene sulle spine). La ragazza si inventa questo trucco: racconta una storia e si ferma sul più bello. Noi e il principe-che-odia-le-donne restiamo di sale. Come finisce quella storia? La notte successiva Scherazade aggiunge un pezzetto o una storia parallela che dovrebbe spiegare la prima. Ma di nuovo non conclude il tutto. Va avanti così per ben mille notti, sempre col rischio che al principe vengano le sue cose e decapiti Scherazade. La notte mille e una i due consumano il matrimonio perché il principe è stupito dall’intelligenza di questa tipa e torna mansueto. Un finale forse prevedibile, ma poteva andare in tanti modi diversi e per tutto il tempo siamo rimasti incollati alla storia e alle sue storie secondarie.
Non aggiungo la storia incredibile di Aladino, o i viaggi di Sindbad, o i Principi di Serendib. Ci siamo intesi sulla meccanica, spero. Sindbad raggiunge un’isola che è invece un animale, viene portato nel cielo dalle aquile, trova alberi che fruttificano gemme, gliene capitano di tutti i colori.
I greci avrebbero rovinato il tutto mettendoci la morale dietro e dividendo la cosa in una geometria barocca che era copia della loro società e dei loro complessi ansiogeni.

La tensione narrativa, dal punto di vista del LETTORE (o ascoltatore che sia), è la curiosità, costante per tutta l’esperienza, di capire i fatti in corso in quanto per lui interessanti ma non espliciti, fare una serie di “scommesse” interiori, e poi avere conferma o smentita nella conclusione. Chi è? Cosa farà? Cosa è quel suono?… forse ho capito… anzi no, potrebbe essere questo… ah, guarda, invece va così…
Se tu ottieni questo effetto nel lettore hai scritto una grande storia.
La tensione narrativa è molto più facile a spiegarsi osservando la narrazione emotiva più breve che abbiamo. Le barzellette.
Ogni barzelletta comincia con una situazione normale, ma interessante. Ha un proseguio, che mette davanti a un bivio. L’ascoltatore nella sua mente fa un casino di ipotesi. E’ la possibilità di fare queste ipotesi che rende la storia vincente. La barzelletta crea il suo effetto con una disgiunzione (cioè l’ipotesi concreta fra miliardi è quella MENO probabile).

Non esiste un metodo per creare questo effetto. Milioni di blog nel mondo si sforzano di spacciare i loro contenuti greci, sperando che al contempo qualcuno compri quell’inutile romanzo in cui Mario lotta con gli zombi filosofeggiando sul perché Chiara Pallanti non gliela vuole dare. Nel cervello dell’autore lui stesso è Mario, gli zombi sono i malvagi discotecari che lo infinocchiano e Chiara Pallanti è assai probablimente la ragazza cui pensa, sognandosi romanziere miliardario.
Non mi fido degli sfigati. Hanno sempre dei fini segreti e fanno ricatti emotivi con la gente o coi poteri occulti.

Se non c’è il metodo, ma abbiamo chiaro il fine, allora si tratta di sperimentare continuamente, approcciandosi alla narrazione come il portatore sano di fantasia e ingegno che cerca di intrattenere. Se la storia di Mario fa schifo, la cestino: io non ho alcun debito con Mario e Chiara Pallanti comunque non me la darà, anche se vendo milioni di copie. Me l’avrebbe data anche se ero un barbone, se ne avesse avuto voglia sin dal principio.

Uno scrittore non crea la tensione narrativa, che è una sensazione del lettore. Deve ingegnarsi di provocarla! E’ un concetto diverso, sottilmente diverso. Ho detto che scrivo per gli intelligenti, no?
Se non c’è il metodo, esiste il tuo cervello con le sue idee. Le idee sono babilonesi, non greche: sbocciano dal nulla come misteriose stelle in un cielo nuovo. Non puoi fotocopiarle da idee precedenti (se lo fai sei uno sfigato e vale il discorso di cui sopra: ti odierò e farò riti malefici per darti nocumento). Se non arrivi a delle idee hai semplicemente sbagliato hobby. Ci sono moltissimi ambiti in cui perdere tempo e allontanare la tua paura della morte e del papà: origami, gatti, politica, sparare alle bottiglie. Non cercare di diventare scrittore.

Quindi, prima ancora che pensare a come sono i tuoi personaggi, quali tormenti li animano, come risolverai i tuoi complessi di inferiorità ereditati dai greci, pensa a come tenere la gente sulle spine in senso globale e scena per scena. Impara dai babilonesi, dai persiani, Shakespeare e Rostand che il Viaggio dell’Eroe nemmeno sapevano cosa fosse.
Una rappresentazione teatrale viene interrotta da una voce fuoricampo. Tensione!
Si staglia un’ombra con naso terribile sul proscenio. Tensione!
Qualcuno protesta e tale Cirano risponde a tono. Tensione!
Un bellimbusto lo sfida a duello. Tensione!
Alla fine scopriamo che fece tutto per amore di lei, che non se lo sarebbe mai filato per via di quel naso orrendo. Eppure ecco che Raguenau e gli altri gli dicono che Rossana lo ha notato, che lo ammira! Tensione!

Ci siamo spiegati. Nessuno ha detto a Rostand: fai così, otterrai questo.
Lo ha fatto BABYLONIAN STYLE. Si è messo a guardare le nuvole e ha pensato a come creare qualcosa che potesse intrattenere il suo pubblico. Hugo se n’è uscito coi Miserabili, London con Zanna Bianca, lui con Cyrano. La storia finale la possiamo incasellare alla greca, se vogliamo, se proprio abbiamo il compito in classe. Rostand ha pensato alla meccanica di intrattenimento, a come suscitare una tensione narrativa e se n’è fregato di coerenza, morale, forme, metodi, Google e vangeli.
Ogni due minuti si è chiesto “come li tengo sulle spine a questi ignoranti annoiati?” e non “Come aderisco adesso alla logica del Compagno, e all’evoluzione morale del personaggio?”
Poteva infilarci fantasmi, draghi, streghe e quel che serviva in quel momento a far pensare all’ascoltatore “oh cavolo, ecco un bivio… come andrà?”.
Chi fa questo passo mentale, passando dallo studente della forma al creatore di una STORIA (quale che sia questa storia dipende uniamente dalle idee sue e personali che nessuno può replicare) allora io lo chiamo narratore e nel caso scrittore.

Ehi, sono stato un po’ tecnico. Spero che mi sia perdonato. Se non avete capito di cosa parlo fate una ricerca su Google, vi darà tutte le false informazioni a bocconcelli di cui avete bisogno per sentirvi greci.
Se ci arrivate pensando da soli, mi congratulo.
Ora vado a mangiare che sono digiuno da 20 ore.

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